Come sanno i lettori dei nostri materiali, ma anche chi legge la stampa locale, in una piccola frazione del nostro territorio, dal nome che evoca vagamente antiche dominazioni, la popolazione è da anni e anni sotto stress permanente per un problema apparentemente assurdo, nel secolo ventunesimo. Stiamo parlando di Ragone (frazione di cui molti ravennati ignorano l’ubicazione o addirittura l’esistenza), e il problema è quello dell’attraversamento del fiume Montone.
Infatti il paese, attraversato dalla strada provinciale cosiddetta Molinaccio, dipende in tutto e per tutto dal vicino abitato di San Pancrazio (che però si trova nel comune di Russi), dal momento che Ragone è privo di ogni servizio. Per l’ufficio postale, la farmacia, l’edicola dei giornali, i bar, la tabaccheria, la merceria, i medici di base, i negozi di alimentari, le parrucchiere, le banche, la ferramenta e qualsiasi altra necessità della vita quotidiana, il cittadino ragonese deve spostarsi a San Pancrazio. Resistono un chiosco di pizza e piadina (che produce , garantiamo, pizza e piadina strepitose!), un ristorante (dove, garantiamo, si mangia molto bene!) e una rinomata azienda vinicola (garantiamo, vino ottimo !), ma come voi capite sono tre attività che poco incidono sul soddisfacimento dei bisogni quotidiani.
Dato che San Pancrazio dista da Ragone poche centinaia di metri tutto ciò non sarebbe un problema, se non ci fosse da attraversare il fiume Montone. E anche questo non costituirebbe un grosso problema, se non fosse che l’attraversamento è rischiosissimo. Costruito negli anni cinquanta e concepito sulla base del traffico di allora, il ponte sulla provinciale Molinaccio si trova oggi a dover sopportare un carico veicolare intenso e veloce, sicuramente sconosciuto sessant’anni fa. I punti di incrocio della strada principale con gli argini destro e sinistro (anch’essi abbastanza trafficati) hanno una visibilità pessima, e numerosi sono ogni anno gli incidenti, anche con conseguenza severe. Pedoni e ciclisti sul ponte hanno a disposizione due strettissimi corridoi quasi impraticabili, per cui di fatto la mobilità ciclo–pedonale in sicurezza è preclusa. Da tempo ormai immemore i Comitati Cittadini di Ragone chiedono la costruzione di una passerella ciclabile e pedonale, che consenta anche a chi non ha l’auto (soprattutto anziani, bambini, adolescenti) di poter accedere al paese di San Pancrazio. Per molti ragonesi, il cincetto di “fare un salto” al CONAD o in tabaccheria equivale a organizzare un viaggio all’estero.
In un’affollata assemblea che si è tenuta a Ragone per iniziativa del Comitato Cittadino (presenti rappresentanze più che qualificate della Giunta comunale, della Provincia, della Polizia Municipale e del Consiglio Territoriale), seguita a poca distanza da un’altra assemblea a San Pancrazio in presenza di Sindaco e Giunta di Russi, è stato annunciato che nel 2020 verranno appaltati i lavori per l’abbattimento del ponte e la sua ricostruzione, con criteri meglio rispondenti alla situazione di oggi.
Potrebbe considerarsi una buona notizia. Se non fosse che, durante tutto il periodo dei lavori, l’attraversamento del Montone sarà totalmente impedito e l’isolamento di Ragone diventerà totale. La distanza fra Ragone e San Pancrazio, da quattrocento metri diventerà di otto chilometri, e dimenticarsi qualcosa nel fare la spesa, anche per chi potrà disporre di un passaggio in macchina, costituirà un problemaccio.
Ecco che allora, oggi, sarebbe ancora più importante procedere in tempi rapidissimi alla costruzione della passerella pedonale e ciclabile, che potrebbe poi rimanere anche a latere del novo ponte, per migliorarne ulteriormente la sicurezza. Nelle assemblee di cui sopra, sono state date garanzie di un rapido studio di fattibilità di tale passerella, ma a due mesi di distanza, ancora non v’è notizia alcuna di decisioni in tal senso. Gli abitanti di Ragone (fra l’altro molti sono anziani, con scarsa indipendenza negli spostamenti) sono ogni giorno più preoccupati e – diciamolo pure – piuttosto inc… arrabbiati.
E’ una delle non poche storie in cui si manifesta la considerazione – da parte di chi amministra – del forese (dei foresi) come territori di serie B e C, a volte luoghi di puro e semplice passaggio, a volte quartieri dormitorio, sempre meno luoghi di vita attiva e almeno un po’ autosufficiente rispetto al capoluogo, ai mega-centri commerciali, al dominio ormai delirante dell’auto privata, e all’insieme dell’organizzazione consumistica e individualista.