Salute e sanità oggi. Una sfida per la sinistra

Parlare di sanità oggi si divide fra disaffezione, come se si discorresse di materia tecnica sulla quale solo dottori e amministratori possono dire qualcosa, e fra protesta convulsa e spesso inefficace alle minaccia di chiusura di un servizio prossimo ai cittadini. La voluta mancanza di un colloquio costante e biunivoco fra amministratori e cittadini crea un vuoto, vuoto nel quale le scelte di chi amministra sono spesso improntate a mere logiche di mercato, che poco rispondono alle necessità di salute della cittadinanza e al dettato dell’art.32 della Costituzione.
Eppure non è sempre stato così. Un tempo esistevano all’interno delle Unità sanitarie locali gli spazi di dibattito e di gestione condivisa dei piani per la salute, gli operai potevano accedere a formazioni specifiche per essere consapevoli del grado di salute nei luoghi di lavoro, medici e infermieri presidiavano il territorio insieme alle rappresentanze dei cittadini per capire i luoghi e le cause delle malattie e impostare piani di prevenzione, e c’era un mondo politico, non solo a sinistra, complessivamente disponibile a recepire le istanze che dalla società provenivano. Questa stagione culturale ha prodotto la visione universalistica del Servizio sanitario, che ha portato a straordinarie riforme come la legge Basaglia, la legge 194 che aveva determinato la scomparsa del fenomeno dell’aborto clandestino (oggi purtroppo in riemersione causa i continui attacchi alla piena attuazione della legge stessa) e più in generale al pieno godimento dell’accesso alle cure per ogni fascia sociale.
Oggi l’aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale ha introdotto in sanità concetti applicabili al mondo economico, si fa strada l’idea che l’universalismo del diritto alla salute sia “vivere al di sopra delle proprie possibilità”. Così si riaffacciano vecchi egoismi, strutturati in negazione dei diritti per alcuni e riconoscimento degli stessi solo per chi fa parte di strati più protetti di popolazione (mutue, welfare aziendale, coperture private).
La progressiva china delle privatizzazioni, sostenute dalla mendace cultura del “privato è bello”, e dal conseguente equivoco che la medicina privata curi meglio di quella pubblica; il rilancio, rafforzato negli ultimi tempi da specifiche prese di posizione dei governi a guida PD, di un sistema di “mutue” al posto – almeno nei fatti se non nelle definizioni – di un Servizio Sanitario Nazionale esteso a tutte e tutti ; la progressiva scomparsa del tema della prevenzione nell’ambiente naturale, nei luoghi di lavoro e di vita quotidiana; la riproposizione eterna di una struttura verticistica e poco partecipativa nel lavoro sanitario, sono tutte linee di condotta politica che di fatto svuotano l’offerta di servizi, e costruiscono un malumore diffuso dell’ utenza.
Non saremo certo noi a nascondere difetti, inadempienze, e talvolta scandalose manchevolezze, che il Servizio Sanitario ha mostrato – anche nei tempi migliori – e non saremo certo noi ad occultare quanto il mondo della sanità sia stato terreno di conquista politica, di fabbricazione del consenso e di sprechi ingiustificati. Ma riteniamo che contestare tutto ciò riproponendo una sanità classista, trasformata in bene di consumo, in cui il messaggio è “cercate di arrangiarvi al meglio possibile”, nega la dignità della persona sofferente riducendola a mero consumatore di un servizio.
E’ un delitto contro il dettato costituzionale e più in generale contro il diritto alla salute. Ricordiamo la salute per l’Organizzazione Mondiale della Sanità è lo stato di benessere fisico, psichico e sociale dell’individuo e della comunità.
Ritornare verso un sistema sanitario di tipo liberale, affidato sostanzialmente alla capacità dell’individuo di “comprarsi” le prestazioni, o ad uno conservatore-corporativo, basato sulla capacità di un gruppo sociale (in genere professionale) di conquistare pezzi di stato sociale per la propria categoria, espone alla creazione di sempre più ampie sacche di emarginazione, di popolazioni non garantite, in cui un welfare residuale si occuperà di offrire l’assistenza minima e urgente ai diseredati, ma non certo di garantire un pieno stato di salute.
Siamo consapevoli che il ritorno a principi realmente universalistici sarà un percorso lungo e duro, irto di ostacoli di ogni genere, in cui andrà necessariamente affrontata la lotta alla corruzione , vera piaga di questo paese, e non potrà che procedere per gradi, individuando momento per momento, luogo per luogo, tema per tema, le scale di priorità e le strategie di breve, medio e lungo periodo.
Nell’immediato, proponiamo per il momento alla discussione due argomenti: uno, la difesa a oltranza dei posti di lavoro medico, infermieristico, tecnico e assistenziale, ponendo come paletto invalicabile il fatto che ogni posto del Servizio Sanitario lasciato scoperto debba corrispondere un’assunzione, non vi siano cioè ulteriori tagli di personale che corrispondono alla riduzione di prestazioni; l’altro, mettere in discussione la “catena decisionale”, riportare una scelta democratica alla base delle strategie di governo sanitario. Coinvolgere in maniera sostanziale operatori e popolazione nella costruzione dei servizi per la salute in una determinata realtà territoriale o sociale.
La società è molto cambiata dagli anni 70, andrà certamente ripensata la dinamica di interazione fra ospedali e territori al di fuori di vecchi schemi, ma ci opponiamo alle proposte di sperimentazioni che in nome del nuovo sguarniscono i territori senza offrire vere risposte con l’unica logica del taglio dei costi e dell’avanzata della privatizzazione.
Per fare ciò abbiamo bisogno che la cittadinanza capisca la portata della strategia subdola di esproprio di diritti in atto e che sia disponibile a lottare per garantirsi il pieno godimento del diritto alla salute.

Questa è la sfida che è chiamata a giocare oggi la Sinistra di alternativa.

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