La lista Ravenna in Comune, nell’ambito del processo di costruzione del progetto di amministrazione che presenterà alle prossime elezioni comunali, ha intenzione di sviluppare incontri con le rappresentanze delle istituzioni di governo del territorio. Ringraziamo pertanto Galliano Di Marco, Presidente dell’Autorità Portuale di Ravenna, per averci reso possibile iniziare con uno dei settori in cui massimamente sono state indirizzate negli ultimi decenni le risorse pubbliche: il comparto industriale-portuale. L’incontro si è svolto tra Di Marco, in rappresentanza dell’ente porto, e Raffaella Sutter, candidata sindaca, e Massimo Manzoli, portavoce, in rappresentanza della lista di cittadinanza.
L’incontro è stato estremamente utile per focalizzare i fondamenti del dibattito in corso che quasi giornalmente attira l’attenzione della stampa. Tutto comincia con la “felice anomalia del porto di Ravenna”, cioè la leggenda di una costruzione del porto per mano privata e degli incommensurabili vantaggi che la conseguente assenza di un controllo pubblico porterebbe allo sviluppo dello scalo. Da una parte è, infatti, vero che la realizzazione del porto sia stata predeterminata attraverso la costituzione di una società di diritto privato, la SAPIR, e la successiva emanazione di una legge ad hoc che le affidasse la bacchetta del comando; ma è altrettanto vero che senza i fondamentali e copiosi investimenti pubblici (in primis Stato e Regione), il porto non sarebbe mai sorto.
Compito della SAPIR, fin dall’inizio, è stato quello di impedire che, a differenza degli altri scali nazionali, lo Stato gestisse direttamente le aree portuali attraverso un ente dedicato. SAPIR, allora come adesso, ha adempiuto ai fini per cui è stata creata, mantenendo un ferreo controllo sui terreni espropriati con risorse pubbliche, infrastrutturati o meno, e sui terminal portuali sorti su solo alcuni di quei terreni. È da questo ruolo che si sviluppa il contrasto di questi giorni tra l’Autorità Portuale e gli enti territoriali (Comune, Provincia, Regione e CCIAA) e privati (principalmente la Cassa di Risparmio, il gruppo PIR, la Compagnia Portuale e l’ENI) che controllano la SAPIR.
È un conflitto tra due diverse idee di porto: una di controllo proprietario delle risorse pubbliche (da parte del PD e dei cosiddetti poteri forti) ed una di controllo pubblico su un fondamentale volano dell’economia ravennate. Il ruolo della SAPIR così come si è sviluppato sino ad oggi non è più sostenibile e la giunta che si insedierà con le elezioni di primavera dovrà necessariamente ridefinirlo, avendo anche presente l’evoluzione della normativa nazionale nella parallela ridefinizione di quell’ente nazionale chiamato Autorità Portuale.
La SAPIR, infatti, è causa dei problemi di cui sopra costituendo un ineludibile filtro d’ingresso per qualunque nuova attività provi ad insediarsi in porto non superabile, ad esempio, dalla stessa Autorità Portuale che sui terreni retrostanti le banchine non ha alcun potere. Inoltre nessuna particolare sensibilità è riconducibile a SAPIR come impresa portuale: è anzi soggetto abituato ad operare al ribasso al pari degli altri operatori. Un privato tra privati, con l’unica differenza dei terreni come fonte di entrata.
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Dall’incontro è emerso come i soggetti dietro SAPIR hanno perseguito in una prima fare il cosiddetto “progettone”. Un progetto, firmato dalla costola ingegneristica di SAPIR, pagato da tutti i terminalisti (come l’attuale studio di NOMISMA): una sorta di pizzo riconosciuto a SAPIR per non essere esclusi in partenza dalle fantomatiche migliorie. Duecento e passa milioni tra finanziamenti statali a fondo perduto, avanzi di gestione dell’ente porto e un inedito elevato indebitamento per l’Autorità Portuale attraverso accesso a mutui, da distribuire all’aggiudicatario dei lavori (CMC?), al proprietario dei terreni (SAPIR e CMC?), a chi movimenta i sedimenti (le cooperative tutte?). Tutto questo è stato approvato in tutti i necessari passaggi da tutti gli azionisti di SAPIR, i signori del porto, fino a che non si è messa in discussione la proprietà dei terreni di SAPIR. Da tale momento il progetto (lo stesso ideato da SAPIR) si è trasformato da “vitale” a “mostruoso” ed è iniziata da parte degli azionisti privati di SAPIR la pressione su quelli pubblici perché sconfessassero sé stessi. Ad oggi ci si trova, quindi, un’Autorità Portuale con due possibili progetti in lavorazione (uno con casse di colmata a mare e uno con casse di colmata a terra) e un recentissimo studio di Nomisma finanziato dai terminalisti che prevede addirittura 14 scenari possibili di approfondimento del Candiano. Tutto questo aggravato dal fatto che due casse di colmata di proprietà di CMC e SAPIR (su cui l’Ente Pubblico paga ancora un affitto) sono piene e sotto sequestro. Il loro svuotamento potrebbe permettere l’inizio dei lavori di escavo per permettere quanto meno la manutenzione necessaria del canale in tempi brevi.
Prima ancora del problema delle casse di colmata (di terra o di mare, neanche fossero vivande del pranzo di Natale), ci si dovrebbe chiedere: quali investimenti privati giustificano la valanga di risorse pubbliche? Quali piani industriali degli operatori portuali rendono necessari i “-14,50” piuttosto che i “-13,50” e via così (tutte profondità lontanissime dal limite delle dighe)? Come coniugare i tempi lunghissimi per gli escavi in approfondimento con quelli urgentissimi degli escavi di manutenzione dell’esistente? Quale idea di porto consente di mantenere un elevato numero di addetti, impiegati in attività che non trascurano mai le buone pratiche per la sicurezza nel lavoro e garantiscono un buon trattamento retributivo nella continuità contrattuale? Queste domande non hanno potuto avere le risposte nell’incontro con Di Marco. Vogliamo farci carico di trovarle nello svolgimento delle competenze proprie di un’amministrazione comunale il cui primo scopo è il bene pubblico e non l’inchino ai poteri forti così facile a ritrovare nei comportamenti dell’attuale giunta comunale.