STOP AL PORTO D’ARMI

Riporta la stampa notizia del traffico di componenti di armamenti bloccato mentre convogliava verso Israele il suo carico di morte. Il destinatario era infatti Imi System, azienda militare israeliana che è parte di Elbit Systems, un colosso degli armamenti di quel Paese che è anche uno dei maggiori appaltatori nel settore difesa dello Stato sionista. Tra gli armamenti impiegati a Gaza dall’Esercito israeliano prodotti dal gruppo Elbit System figurano: i droni UAV Skylark ed Hermes, le bombe da 500 libbre MPR 500, i proiettili da artiglieria da 120 e da 155 mm e molti altri sistemi e tecnologie di armi. Non era dunque propriamente un sacchetto di arachidi tostate quello che doveva essere imbarcato nel porto di Ravenna: 14 tonnellate di pezzi che la stampa definisce “irriconoscibili”. Infatti l’accusa è di violazione delle norme che regolamentano il commercio e l’esportazione di materiale bellico per aver tentato spedire via container materiali descritti come “manovelle, lamiere, bracci e cilindri” e che, in realtà, erano destinati all’assemblaggio di equipaggiamento militare. Il tutto, secondo l’accusa, illegittimamente, in quanto in assenza di qualsivoglia autorizzazione allo scopo. Autorizzazione che, secondo le norme vigenti, tra l’altro, mai avrebbe potuto essere data.

Torna a questo proposito alla memoria uno scambio epistolare tra il Presidente dell’Ente Porto ravennate ed il Presidente di The Weapon Watch, l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei. È avvenuto in occasione dell’incontro tenutosi a Ravenna il 24 febbraio 2024, presso la sala convegni dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico centro settentrionale, e della successiva manifestazione pubblica, promosso da una serie di associazioni e sindacati a due anni dall’inizio di questa nuova fase di guerra in Ucraina. All’incontro avrebbe dovuto intervenire anche il presidente dell’Autorità portuale di Ravenna, Daniele Rossi, che mandò invece un proprio messaggio scritto. In questo Rossi precisava:

«Venendo al ruolo dei porti, credo sia difficile sostenere che per prevenire o gestire conflitti sia sufficiente chiuderli in modo indiscriminato ai traffici verso alcune aree del mondo. La ricchezza delle nazioni, il benessere dei popoli transita dai porti. I porti sono fonte di vita, sono luoghi da proteggere e tutelare, dove ovviamente devono essere rispettate le leggi dello Stato. E questo è il punto! Le leggi dello Stato.

Per quanto riguarda il porto di Ravenna, non ho alcuna informazione in merito a trasporti di armamento bellico in violazione delle leggi dello Stato ed invito chi ne avesse ad informare la Procura della Repubblica. Mi pare francamente velleitario pretendere che un funzionario pubblico, quale è il Presidente di Autorità Portuale, violi le leggi dello Stato di cui è rappresentante e decida lui quali sono le regole che si applicano nel porto che amministra pro-tempore».

Dalla risposta di Carlo Tombola, Presidente di The Weapon Watch, emerse che:

«Quello che gli organizzatori del seminario volevano e vogliono sottolineare è che tutte le leggi dello Stato in materia di trasferimenti di armi devono essere rispettate, dagli operatori lungo l’intera catena logistica così come dalle autorità di sorveglianza e di decisione.

Ci sono una legge dello Stato e un Trattato internazionale ratificato dal nostro Paese che impongono di non esportare né consentire il transito di armamenti diretti verso paesi (cito) “in stato di conflitto armato (…), la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione (…), nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale (…), i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani (…), che destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa”.

In questo momento sono in corso nel mondo 59 guerre. Secondo i criteri sopra elencati, rientrano nell’elenco dei paesi verso cui non dobbiamo consentire né esportazione né transito di armi: Arabia Saudita, Azerbaijan, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Israele, Libia, Qatar, Turchia, Ucraina. Non ci risulta che né nel porto di Ravenna, né in nessun altro porto italiano si siano impedite esportazioni e transiti di armi verso questi paesi.

Noi non chiediamo che si chiudano i porti in modo indiscriminato. Chiediamo invece che si rispettino la Legge 185/1990 e il Trattato sul commercio delle armi, recepito nel nostro ordinamento con la legge n. 118 del 2013 e in vigore dal 2014».

Quello della guerra non è dunque un problema lontano che non riguarda lo specifico locale. Riguarda infatti in maniera importante il nostro porto. Un porto in cui, come dimostrato anche dalle vicende attuali, «i trasporti di armamento bellico in violazione delle leggi dello Stato» avvengono, eccome! Facilitati per giunta da un regolare collegamento settimanale via nave con Israele. E questo spiega quanto riferisce un portuale intervistato da Linda Maggiori per Il Manifesto («Ravenna, sequestrato materiale militare. Era diretto in Israele senza licenza», 27 marzo 2025): «Abbiamo a che fare tutti i giorni con tantissimi container – spiega un portuale – Ci accorgiamo degli armamenti solo se abbiamo una soffiata o se sono ben visibili. Ma se sono pezzi smontati chiusi dentro ai container non è facile sapere di che si tratta. Non credo che questo sia l’unico né l’ultimo carico di armi di passaggio nel porto di Ravenna». Quando i portuali se ne sono accorti hanno reagito scioperando, come successe nel 2021, durante il precedente assalto di Israele a Gaza. Ma, appunto, se ne devono accorgere… E tutto lascia intendere che vi sia un preciso interesse a non ostacolare i traffici con Israele. Anche a quelli di armi. Del resto, anche questa volta, nulla si sarebbe appreso di un sequestro avvenuto quasi due mesi fa se non vi fosse stata richiesta di dissequestro del carico riportata dalla stampa.

Allo stesso tempo Ravenna è diventato anche luogo di produzione di armamenti. Come rivela il Coordinamento No Nato Emilia-Romagna, in provincia abbiamo il Gruppo Med di Cervia, Curti Costruzioni Meccaniche di Castel Bolognese, Bucci Composites di Faenza e, in porto, è presente il gruppo Ferretti, anch’esso dotato di una importante Security Division. E poi, tra Darsena e Fornace Zarattini, c’è A.ST.I.M., azienda della nautica civile riconvertita agli armamenti, di cui l’ex Sindaco e attuale Presidente della Regione dice che «È un’impresa innovativa, con un valore tecnologico molto, molto elevato, ha una grande professionalità ed è da tanto tempo nel nostro territorio. Per cui non può che essere un piacere vedere la sua crescita in un settore così importante».

Per contrastare il coinvolgimento di Ravenna nel massacro di altri popoli, Ravenna in Comune chiede il voto per far sentire una voce di dissenso nelle Istituzioni altrimenti omogenee e guerrafondaie. Ben ricordiamo quella bandiera di Israele fatta sventolare dalla Giunta su Palazzo Merlato con centrodestra e centrosinistra uniti ad applaudire.

Sabato prossimo, 29 marzo, come Ravenna in Comune invitiamo a partecipare al presidio che si terrà dalle ore 16.00 in Piazza del Popolo a Ravenna, per dire «Basta transito di armi nel porto di Ravenna». Il presidio è stato indetto dalla Rete antisionista e anticolonialista dell’Emilia-Romagna. Parteciperà Marisa Iannucci, che candidiamo come Sindaca alle prossime elezioni comunali.

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Ravenna, sequestrato materiale militare. Era diretto in Israele senza licenza

Fonte: il Manifesto del 27 marzo 2025

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