L’8 MARZO E’ TRASFORMAZIONE

La condizione femminile in Italia è il risultato di un percorso fatto di conquiste importanti, ma anche di ostacoli che ancora limitano la piena realizzazione dei diritti e delle opportunità per le donne. Se da un lato si registrano progressi in termini di partecipazione al mondo del lavoro, rappresentanza politica e sensibilizzazione sulla violenza di genere, dall’altro persistono disuguaglianze strutturali, che richiedono interventi radicali e un nuovo modello di sviluppo basato sulla giustizia sociale e sulla redistribuzione delle risorse, affinché ogni donna possa accedere a opportunità reali e concrete senza essere penalizzata dal suo genere.

Un’analisi approfondita della realtà italiana mostra che la disparità di genere si manifesta in molteplici ambiti: dall’occupazione alla sicurezza, dalla conciliazione tra vita professionale e familiare alla leadership nelle istituzioni e nelle imprese, fino alla cultura e ai media. Queste disuguaglianze non sono semplici anomalie del sistema, ma il risultato di un modello economico e sociale che si fonda sullo sfruttamento del lavoro femminile, sia dentro che fuori casa, e sulla marginalizzazione delle donne nelle decisioni politiche ed economiche, relegandole spesso a ruoli subalterni e meno retribuiti. Il carico del lavoro di cura continua a ricadere in modo sproporzionato sulle donne, che dedicano in media il doppio delle ore rispetto agli uomini alle attività domestiche, alla cura dei figli e all’assistenza di familiari anziani o disabili, senza alcun riconoscimento economico o previdenziale. Questa situazione non limita solo l’accesso delle donne al mercato del lavoro, ma incide anche sulle loro prospettive di carriera, sulla loro indipendenza economica e sul loro benessere psicofisico. La mancanza di un sistema di welfare adeguato, con servizi pubblici efficienti, come asili nido gratuiti, orari scolastici flessibili e un’assistenza sanitaria e sociale adeguata, costringe molte donne a ridurre l’orario lavorativo o ad abbandonare il lavoro, alimentando un circolo vizioso di dipendenza economica e disuguaglianza.

Affrontare queste sfide in modo organico significa ripensare il sistema nella sua interezza, mettendo al centro il diritto al lavoro stabile e dignitoso a partire da un salario minimo garantito, il potenziamento dei servizi pubblici, la ridistribuzione del carico di cura e una reale partecipazione democratica che garantisca alle donne non solo un posto ai tavoli decisionali, ma anche di indirizzare le scelte politiche ed economiche in modo paritario. Un cambiamento reale può avvenire solo attraverso politiche che garantiscano una trasformazione radicale della società, ponendo fine alla mercificazione della vita delle donne e alla loro subordinazione economica e culturale, superando il sistema neoliberista, che considera il lavoro e la vita delle donne come variabili di aggiustamento del mercato. Solo attraverso un rafforzamento del welfare, investimenti pubblici nei settori strategici e una riforma del mercato del lavoro che superi la precarietà sarà possibile costruire un futuro in cui la parità di genere non sia solo un obiettivo astratto, ma una realtà concreta.

Il mercato del lavoro continua a penalizzare le donne sia nell’accesso all’occupazione sia nelle condizioni economiche e professionali offerte. Il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi d’Europa, e il lavoro femminile è spesso caratterizzato da maggiore precarietà e da una più ampia diffusione del part-time involontario, dell’impiego nella catena dei subappalti, nel lavoro irregolare, con le note conseguenze sulla sicurezza.  Oltre alla minore partecipazione al mercato del lavoro, le donne in Italia guadagnano in media meno degli uomini, anche a parità di mansione e competenze.

La parità di genere nel mondo del lavoro non è solo una questione di giustizia sociale: un sistema economico più equo e sostenibile, porta a un miglioramento generale delle condizioni economiche del paese.

La violenza di genere

La violenza contro le donne in Italia rimane un’emergenza sociale e strutturale, radicata in un sistema patriarcale che perpetua il dominio maschile e la subordinazione femminile. Ogni anno nel nostro Paese si registrano oltre 100 femminicidi, la maggior parte dei quali avviene all’interno di relazioni affettive o familiari. La violenza domestica non si manifesta solo nei casi estremi di femminicidio: è un fenomeno strutturale che attraversa tutti gli ambiti della società. Dalla violenza psicologica ed economica che isola e priva le donne dell’autonomia, fino alle molestie e agli abusi nei luoghi di lavoro e negli spazi pubblici, il sistema continua a tollerare e a giustificare la sopraffazione maschile e una cultura che normalizza il controllo e la violenza sulle donne. Lo stato non può limitarsi all’inasprimento delle pene: servono politiche radicali e strutturali che trasformino alla radice i rapporti di potere tra uomini e donne. Attualmente, i fondi destinati ai centri antiviolenza e alle case rifugio sono del tutto insufficienti e spesso soggetti a ritardi nei finanziamenti, mettendo a rischio la vita di molte donne che cercano di uscire da situazioni di pericolo. Non si può parlare di violenza di genere senza riconoscere il legame tra patriarcato e capitalismo. La violenza sulle donne non è solo il risultato di una cultura misogina, ma è anche funzionale a un sistema economico che trae profitto dall’oppressione femminile. Il lavoro domestico e di cura, spesso non retribuito o malpagato, è il pilastro invisibile su cui si regge l’intero sistema economico. Le donne vengono spinte a ruoli di dipendenza economica, rendendo ancora più difficile per molte di loro sottrarsi a situazioni di violenza. Le lavoratrici precarie, le migranti e le donne delle classi popolari sono le più esposte a sfruttamento, abusi e ricatti, senza alcuna reale tutela da parte delle istituzioni. Per combattere la violenza di genere non basta “sensibilizzare” la società: bisogna smantellare il patriarcato e redistribuire il potere e la ricchezza. Questo significa investire massicciamente nei servizi pubblici, garantire l’indipendenza economica delle donne con un salario minimo dignitoso, istituire un reddito di autodeterminazione per chi fugge da situazioni di violenza e costruire un sistema giudiziario realmente femminista, in grado di tutelare le vittime e non di colpevolizzarle. La violenza di genere non è un problema individuale, ma politico. È necessario un movimento femminista forte, organizzato e radicale, che lotti non solo contro la violenza fisica, ma anche contro lo sfruttamento economico e la violenza istituzionale. Le donne devono poter vivere libere, autonome e sicure in ogni ambito della società, senza paura di ritorsioni o discriminazioni. La lotta per la liberazione delle donne è parte integrante della lotta più ampia per i diritti umani, per una società socialista e anticapitalista, in cui nessuna/o sia oppresso/a sfruttata/o o vittima di violenza, e questo vale per tutte le persone che subiscono violenza e discriminazione di genere, in un’ottica intersezionale che è necessaria nel mondo contemporaneo in cui bisogna riconoscere la complessità e la pluralità.  La violenza di genere non è un’emergenza temporanea, ma una questione di giustizia sociale che richiede una trasformazione radicale del sistema in cui viviamo.

A partire da Ravenna.

Marisa Iannucci

candidata Sindaca per Ravenna in Comune

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