ECONOMIA DI GUERRA – COSE FUORI DAL COMUNE

Se collegare più fatti tra loro e trarre conclusioni che l’informazione ad una voce sola non dà è la definizione di complottismo… allora Ravenna in Comune è complottista.

  • Settembre 2023. Prima delle elezioni per il Parlamento UE la Presidente della Commissione affida a Mario Draghi il compito di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea. Draghi non riveste alcun ruolo istituzionale da quando ha fallito l’obiettivo di diventare Presidente della Repubblica Italiana e ha dovuto dimettersi dalla Presidenza del Consiglio Italiana. Perché sceglierlo in maniera totalmente discrezionale senza render conto a nessuno, allora? Perché, dice Ursula Von der Leyen, allora in procinto di cessare il proprio mandato, Draghi sarebbe «una delle grandi menti economiche europee». Balle. Diciamo piuttosto che Draghi, già Presidente della Banca Centrale Europea, rappresentava la garanzia che il potere economico appoggiasse un secondo mandato della stessa Von der Leyen: era lei stessa infatti ad affidare al potere economico l’incarico di dettarle la linea!
  • Settembre 2024. Riottenuto l’incarico di Presidente della Commissione, Von der Leyen si appresta ad eseguire il compitino approntato per lei. Draghi lo enuncia ad alta voce dicendo che se non si farà come dice lui «l’Europa deve temere per la propria sopravvivenza». «La necessità di investimenti è enorme», aggiunge, citando la cifra di 800 miliardi di euro di debiti. Per far cosa? Forse un ritorno a quelle politiche di welfare abbandonate da anni con la scusa che costavano troppo? Neanche per sogno. La ricetta prevede tanta fuffa per nascondervi in mezzo l’obiettivo di un enorme piano di riarmo che unisca la militarizzazione dell’Unione ad un aumento del PIL incentrato sull’economia di guerra.
  • Marzo 2025. Lasciata depositare la fuffa, Von der Leyen ammette che tutto il programma sta nello sviluppo dell’industria degli armamenti a cui si deve sacrificare ogni altro finanziamento. “The Future of European Competitiveness” lascia il posto a “ReArm Europe”. Agricoltura, infrastrutture non belliche, welfare, industria non bellica… tutto va dimenticato a favore di un’economia di guerra indispensabile perché… Già, perché? «Viviamo in tempi pericolosi, la sicurezza dell’Europa è minacciata in modo serio, la questione ora è se saremo in grado di reagire con la rapidità necessaria». Non è sufficientemente chiaro? Non vedete i cosacchi che si abbeverano alle fontane delle vostre capitali? L’importo resta quello, 800 miliardi di euro, tutti da spendere per distribuire in giro missilotti, droni e carri armati.

Parallelamente a questa cronologia di avvenimenti se ne dovrebbe guardare ad un’altra. Nel gennaio 2024 viene presentato in Italia dal Governo il disegno di legge 1660. Si tratta di un provvedimento per dare il via ad una macchina repressiva del dissenso di quelle che, in genere, sono tirate fuori con la giustificazione di un’emergenza nazionale: una guerra civile o una guerra contro un nemico esterno, per intendersi. Solo che a gennaio 2024 nessuna di queste situazioni appare all’orizzonte. Difficile far credere che costituiscano emergenza nazionale le proteste di ordine sindacale, ambientalista o filo-palestinese. Il disegno di legge, presentato alla Camera dei Deputati, non fa gran passi in avanti fino a dopo le elezioni europee. Poi, con un’improvvisa accelerazione a settembre 2024, in appena una settimana di discussione, la Camera lo approva e lo gira al Senato perché a sua volta lo metta in votazione. Qui, cambiato il nome al disegno di legge in 1236, stanno arrivando alla fine i lavori delle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia in sede referente. La modifica da parte del Senato comporterà un riesame dalla Camera e poi, presumibilmente, i giochi saranno fatti: qualunque espressione di dissenso sarà equiparata alla commissione di un reato.

Non si possono tenere su separati binari le misure repressive dall’instaurazione di una politica di guerra in Italia ed in Europa. Appare evidente dallo svolgimento dei fatti come il ceto dominante, anche in Italia ed in Europa, si uniformi a quell’apparato finanziario-militare-industriale al potere negli Stati Uniti. Da una parte ci si attrezza per spegnere sul nascere manu militari qualunque contestazione. Dall’altra c’è chi prova ad organizzare un consenso dietro a questo disegno. Si inserisce in quest’ultimo disegno la manifestazione a favore di un’Unione Europea delle armi e delle armate che sabato prossimo, 15 marzo, si svolgerà a Roma.

Sta scritto nel manifesto dei Sindaci che l’hanno promossa raccogliendo l’appello di Michele Serra su Repubblica, giornale di riferimento proprio di quell’apparato finanziario-militare-industriale: «L’Europa è necessaria. Le sue divisioni e la sua debolezza politica sono ragione di grande preoccupazione per milioni di europei, che vorrebbero sentirla parlare con una sola voce. In un momento di così veloce mutamento degli assetti mondiali solo un’Europa più unita, più solida, forte dei suoi valori fondativi, pace, libertà, democrazia, e convinta che il suo processo federativo debba accelerare, può fare fronte al presente e preparare un futuro migliore. 

Per dimostrare che gli europei ci sono, e bisogna dunque fare l’Europa, ci vediamo sabato 15 marzo a Roma in piazza del Popolo. Sarà una manifestazione di cittadini, aperta a chiunque, di qualsiasi fede politica, si senta europeo. Senza simboli di partito, solo il blu stellato della bandiera dell’Unione. Per dire a voce alta: l’Europa c’è già, e siamo noi».

La traduzione, una traduzione quanto mai corretta che libera dalla fuffa l’obiettivo di una manifestazione di questo genere, la fornisce la Segretaria nazionale della CISL, Daniela Funarola, che, ovviamente, ha aderito convintamente: «L’appello di Michele Serra a scendere in piazza per lanciare uniti questo grido, senza strumentalizzazioni, senza vessilli di parte, è più che opportuna: è necessaria e urgente. La Cisl ci sarà». Per cosa? La promozione dei diritti dei lavoratori? Non pervenuta. Politiche di welfare? Nessun riferimento. Disarmo? Non in agenda, piuttosto il contrario. Ci dice:

«La vicenda Trump – Zelensky ha suonato una sveglia potentissima non solo nelle cancellerie europee, ma anche tra i popoli di una comunità che ora rischia di restare schiacciata tra autocrazie sanguinarie, guerre commerciali, cultori delle logiche di potenza. L’Europa deve svegliarsi e deve farlo adesso. Questo è il momento di capire di che pasta siamo fatti. Tutti. Istituzioni e parti sociali, politica e partiti. Se siamo all’altezza di un ideale che perseguiamo dal 1950, che in questi decenni ha dato pace e prosperità, ha garantito stabilità e democrazia, ma che non è mai arrivato a un traguardo finale degli Stati Uniti d’Europa. Quella di un’integrazione sociale, politica, economica, anche militare, che non può più aspettare. Quella di una coesione che richiede una nuova governance con il superamento del vincolo dell’unanimità, politiche integrate su industria, energia, servizi, la riforma di un patto di stabilità asfittico recessivo. Ma soprattutto con l’idea che bisogna dare voce a un popolo che è molto più avanti delle istituzioni che lo rappresentano. Che vive il sentimento europeo e percepisce il pericolo che questo progetto, che sogno non è, possa essere definitivamente distrutto da nuovi imperialismi esterni e da estremismi interni. Se questo accadesse sarebbe il buio».

Ravenna in Comune sarà anche complottista ma sicuramente non soffre di miopia e vede bene il filo che si dipana e dove vorrebbero che ci conducesse se lo seguissimo acriticamente come tante sigle, organizzazioni, gruppi stanno facendo in questi giorni e in queste ore aderendo ad una manifestazione. Invitiamo invece ad ascoltare l’ARCI, che non parteciperà alla manifestazione proprio in quanto incarna, come recita il comunicato ufficiale, il «sostegno incondizionato alle politiche di guerra che l’attuale Commissione Europea, d’intesa con gli Stati membri, sta portando avanti con scelte impressionanti, come quella di ieri con il piano ReArm. La nostra comunità europea, quella della quale ci sentiamo pienamente parte, per la quale ci siamo sempre battuti affinché realizzasse i valori di Ventotene oggi non s’intravede.

Basta guardarsi attorno per scoprirlo amaramente, giorno dopo giorno, nelle politiche migratorie, nell’aumento delle diseguaglianze e delle povertà, nella nuova austerità, nella crescita delle paure e del razzismo, nell’avvento (neanche troppo improvviso) delle forze reazionarie e neonaziste.

La guerra è già nelle cose e il nuovo ordine mondiale fondato sul più forte e sull’accordo tra i più forti compone un quadro drammatico. E l’Europa non può stare a questo gioco». 

Di sicuro non ci starà Ravenna in Comune. E se sono i Sindaci delle città amministrate dal PD ad organizzare il consenso alla guerra, è urgente portare il dissenso per questo gioco di guerra fin dentro le Istituzioni locali ravennati. Anche per questo chiediamo alla cittadinanza il voto alle prossime elezioni comunali. Un voto per stare fuori dalla guerra.

[L’immagine è tratta dal sito della A.ST.I.M, azienda ravennate convertitasi dal settore civile a quello militare, di cui un orgoglioso de Pascale ha detto: «È un’impresa innovativa, con un valore tecnologico molto, molto elevato, ha una grande professionalità ed è da tanto tempo nel nostro territorio. Per cui non può che essere un piacere vedere la sua crescita in un settore così importante». Se non basta questo per dimostrare che l’economia di guerra si sta infiltrando a tutti i livelli, di cosa c’è ancora bisogno?]

#IannucciSindaca #RavennainComune #Ravenna #amministrative2025 #ReArmEurope

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Il piano Draghi, spiegato con le sue parole: il testo integrale

Fonte: Il Foglio del 9 settembre 2024

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«15 marzo per l’Europa, ecco perché non ci saremo»

Fonte: il Manifesto del 7 marzo 2025

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