Lo scorso 18 febbraio è morto Antonio. L’ennesimo che mentre lavorava nel ravennate non è riuscito a tornare a casa. Si è schiantato a terra a 50 chilometri all’ora assieme al cestello della piattaforma su cui si trovava per potare un pino. Lavorava per una società cooperativa di Ravenna impegnata nella manutenzione del verde pubblico in molti comuni tra cui Cervia, dove Antonio è morto. A Ravenna, tra l’altro, si è occupata della realizzazione della passerella della Darsena. Riferiscono i giornali di una perizia voluta dalla procura che ha portato al sequestro di quattro piattaforme elevabili oltre a quella da cui Antonio è precipitato essendosi rilevato «un gravissimo stato di usura dei mezzi». Il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto sussistere «macroscopici profili di colpa specifica» che avrebbero condotto ad una situazione di «gravissimo stato di incuria, al limite con la prospettazione di un dolo eventuale». Sempre dai giornali si apprende che Antonio avrebbe più volte segnalato la situazione alla cooperativa senza ottenere che le sue istanze venissero prese in considerazione. Ci penseranno i tempi processuali a definire se dall’ipotesi accusatoria si arriverà ad identificare in via giudiziale dei responsabili e se a questi verranno comminate sanzioni effettivamente eseguite. I precedenti in materia di morti su lavoro non inducono all’ottimismo. Chi resta a terra è sempre certo, mentre i contorni spesso sfumano di passaggio in passaggio e di grado in grado i lineamenti di chi andrebbe condannato. Anche in casi come questo dove, sono le parole dei giornali, risalta «il colpo d’occhio d’insieme dei macchinari: presenza di cricche evidenti anche a occhio nudo, saldature eseguite in modo scorretto e spesso arrugginite. Quanto al braccio estendibile che sorreggeva il cestello, la rottura netta e perpendicolare ha fatto emergere ampie parti arrugginite e completamente staccate da tempo».
Cambiano le cause intermedie ma a provocare morti e feriti su lavoro è sempre l’aspirazione ad un profitto senza vincoli. Che si tratti di comprimere le manutenzioni o le misure di sicurezza o il rispetto dei contratti e delle leggi, alla fine è sempre l’aspirazione alla massimizzazione degli utili senza riguardo alla salute di chi lavora la causa prima dei cosiddetti “incidenti”. I dati aggiornati a ieri dell’Osservatorio nazionale indipendente di Bologna dei caduti sul lavoro in Italia riporta il numero di 1056 morti di lavoro nel 2022 (557 di questi sui luoghi di lavoro e i rimanenti in itinere). Fino a che i percettori degli utili, i padroni insomma invece delle figure intermedie appositamente messe a fare da filtro, non subiranno le conseguenze di una carcerazione, la voce “profitto” sui bilanci avrà sempre più peso dei costi imposti dalla “sicurezza”.
Il Prefetto all’atto della sottoscrizione del patto per la prevenzione degli infortuni, la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e la legalità, il 29 luglio scorso, da ben 42 fra enti e organizzazioni ha assicurato che si intende procedere a più controlli e rivitalizzare l’Osservatorio che Ravenna in Comune ottenne tre anni prima, il 18 giugno 2019 da un Consiglio Comunale senza voti contrari. Come Ravenna in Comune sosteniamo da tempo che i patti e i protocolli da soli non servono a niente. Siamo dunque a sollecitare quell’attività di prevenzione e di sanzione delle violazioni riscontrate indispensabile a controbilanciare l’avidità senza freni dei padroni. Imprese o cooperative, purtroppo, poco cambia, come la vicenda di Antonio insegna. Perché, per dirla con le parole del GIP, quanto accaduto «esprime precise e sistematiche linee di politica aziendale informate al massimo risparmio e con pregiudizio della sicurezza dei lavoratori».
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L’operaio morto a Cervia e il video choc alla moglie: “Guarda con che mezzi lavoriamo”
Fonte: Corriere Romagna del 13 settembre 2022indo